Non profit
Il sociale, unoverdose di consenso
Anche il profit più cinico e agguerrito è in prima linea sulle buone cause.
“Fate attenzione: vogliono rubarvi l?anima. Ora tutti si vantano di avere il sociale come priorità. Non so voi, ma personalmente non ne posso più? È troppo inflazionato”. Lo sfogo provocatorio di Giuseppe De Rita, segretario generale del Censis e sociologo, ha lasciato di stucco l?assemblea generale della Confcooperative e del Credito cooperativo. Un?affermazione dura, che De Rita ha fatto osservando la prima fila: «Mi è venuta in mente», spiega, «quella di un?assemblea generale di 27 anni fa: mi domandavo quali problemi di identità il mondo delle cooperative si sia portato appresso in questi anni, quali si è scrollato di dosso, quali invece abbia modificato? volevo mettere la pulce nell?orecchio a chi, secondo me, rischia di farsi fregare l?identità». Uno sfogo e una riflessione di grande interesse. Per questo abbiamo chiesto a De Rita di spiegare il suo punto di vista ai lettori di Vita, attraverso questo dialogo, che raccoglie alcuni dei contenuti della sua relazione.
Vita: Lei opera da anni nel mondo del sociale e ne è anche un attento osservatore. Lo ha sempre ritenuto un investimento fondamentale. Perché oggi che tutti sembrano venire dalla sua sembra invece molto allarmato?
Giuseppe De Rita: Perché oggi l?identità di chi opera nel sociale non è più chiara, a causa dell?invasione del settore. Sono diventati tutti ?sociali?: l?investimento deve essere sociale, le grandi società di consulenza organizzano seminari sul sociale? anche l?impresa più spietata sostiene di creare valore sociale.
Vita: Questo rischio di svuotamento dell?identità riguarda anche la cooperazione?
De Rita: Certamente. Questa crisi di identità riguarda anche la cooperazione. Una volta l?unica componente sociale del sistema economico era la mutualità cooperativa. Ora, nel momento in cui anche l?impresa profit più spietata fa il bilancio sociale e sostiene di creare valore sociale, la mutualità che fa? In questo modo si sottrae la legittimazione al mondo cooperativo, avviandolo verso una deriva di marginalizzazione. Segnali che arrivano anche da una ricerca del Censis in corso per Confcooperative. Sottraendo alla cooperazione il sociale come sua dimensione reale e spingendola a diventare il ?sociale del sociale? si rischia di spaccare il movimento. Da qui il mio allarme. Le cooperative devono acquisire la consapevolezza dell?aggressione che viene dall?esterno. Attenzione però: non si tratta di vera e propria concorrenza, piuttosto di uno svuotamento dell?anima? che è intimamente legata all?identità.
Vita: Come si genera questa confusione?
De Rita: In questa fase storica ci si trova davanti a un bivio: da un lato le nuove forme di statalismo, dall?altro il sociale. Ed ecco l?ambiguità. E il gioco delle parti. Il sistema cooperativo diventa così un contenitore di elementi troppo differenti, per cultura e ambiente, e quindi molto difficili da coordinare, almeno secondo i vecchi parametri. Facendo di necessità virtù, questa diversità va gestita come ricchezza, tenendo conto però che la poliedricità, che comunque a me piace molto, può dar luogo a forti asimmetrie. Del resto non si può regolare tutto allo stesso modo.
Vita: Quindi, secondo lei come dovrebbero agire le cooperative?
De Rita: Ponendo l?attenzione su ciò che accade fuori, ma senza perdere di vista gli equilibri interni. Si corre, infatti, il rischio di veder l?antica identità ridotta dai mutamenti del mondo esterno, in cui si va riducendo l?importanza delle parole ?mutualismo?, ?sussidiarietà? e ?solidarietà?. Inoltre, vanno analizzate le asimmetrie interne, prendendone coscienza, senza drammatizzare. In fondo solo i partiti, i movimenti e le ideologie devono essere compatti? una grande realtà come quella cooperativa può essere poliedrica, policentrica e quindi contenere delle diversità. Basta solo saperle gestire.
Vita: Quali ritiene debbano essere gli elementi fondamentali perché una politica di gestione delle asimmetrie abbia successo?
De Rita: Il territorio e la filiera. Quello con il territorio deve essere un rapporto stretto, vero. Non ci si può limitare alle relazioni con gli enti locali? il rischio è quello di esserne estromessi. Il secondo elemento è la filiera. Qualche giorno fa ho sentito Montezemolo raccontare che alla Ferrari non si crea un prodotto, ma si gestisce una filiera: è normale per un?azienda e per un imprenditore moderno. Nella cooperazione sociale, invece, la filiera non c?è. Di più: spesso si nutre addirittura un deficit di capacità gestionale? Mancano, ad esempio, soggetti che sanno operare con competenza nel mondo finanziario, nonostante uno dei principali problemi delle cooperative sia la sottocapitalizzazione. Attenzione: non sto parlando di acquisti a fini speculativi ma di finanza come elemento di quella filiera che la cooperativa deve imparare a gestire. Ma non basterebbe comunque.
Vita: Che cos?altro serve?
De Rita: L?organizzazione interna, la funzione manageriale, la formazione: questo mondo deve crescere in qualità e professionalità, anche oltrepassando le resistenze di chi dirige le cooperative alla vecchia maniera. È importante che i cooperatori ricordino di essere sempre e comunque gli artefici del destino del loro mondo. Gli altri possono tutt?al più fare dei discorsi generali, presentare scenari di sviluppo dell?economia, della politica, ma la responsabilità di far crescere questo sistema è nelle mani di chi fa cooperazione. Bodei, in un libro bellissimo ma molto pessimista, dal titolo Destini personali, scrive: «? da duecento anni a questa parte il problema di ogni uomo è di guardarsi intorno e dire nessuno mi dà un destino, l?unico che mi può dare un destino sono io stesso?». Una fatica boia, ma è quello che tocca a tutti.
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